Mentina ha un amante.
Viene a trovarla ogni notte, tutte le notti, alle due e trentacinque in punto.
Stanotte l’ho visto:
bianco e nero, occhietti anonimi e rotondi su un musone largo e schiacciato, la
coda tozza. Pure un po’ obeso. Se ne stava lì, piantato nel bel mezzo della terrazza,
seduto ma ritto sulle zampe davanti, sfrontato, in attesa. Mentina continuava a
mugolare e a lamentarsi, raspando inutilmente contro la porta chiusa; ogni
tanto saliva sulle finestre della veranda e lo osservava, immobile, per poi
tornare ad accanirsi contro la porta.
Lo so, bimba mia, lo
so: vorresti uscire ad incontrarlo, a sfregare il muso contro il suo, a
lasciarti annusare, docile. Potreste passeggiare insieme sui tetti scivolosi di
pioggia. Quante cose che vi direste, tu e lui, liberi. Ma non si può: e se poi
non torni? e se ti perdi? Come vorrei lasciarti andare... Non guardarmi così,
con quegli occhi supplichevoli... Non si può, non si può.
Dopo un quarto d’ora di
sguardi innamorati e di inutile attesa il gatto bianco e nero se n’è andato,
silenzioso e obeso, forse a illudere altre principesse tristi. Tornerà.
Mentina
lo ha guardato allontanarsi, sui tetti. Poi è venuta ad accoccolarsi nell’incavo
del mio braccio, a cercare carezze e calore. Ha appoggiato il muso sulla
spalla, l’ho sentita abbandonarsi. Respiriamo insieme, piano, per un tempo
infinito. Gli stessi pensieri silenziosi in una notte che ci ingoia. La stessa
ansia di libertà, lo stesso doloroso bisogno d’amore.