Recentemente mi son dovuta
interessare all’uso terapeutico della marijuana.
Forse non tutti sanno che la
marijuana ha una storia millenaria come rimedio farmacologico, condivisa da
molte culture nel mondo.
Utilizzata in medicina e presente nella farmacopea
ufficiale fino a circa metà del Novecento, ha effetti positivi accertati in moltissime
patologie: epilessia (controllo delle convulsioni), depressione (miglioramento dell’umore),
sclerosi multipla (diminuzione della rigidità muscolare), glaucoma (diminuzione
della pressione interna dell'occhio fino al 50%), Alzheimer (prevenzione dei
sintomi e rallentamento della progressione), Parkinson (alleviamento dei
sintomi), fibromialgia (diminuzione del dolore e della rigidità muscolare),
neoplasie (prevenzione e forse cura del tumore ai polmoni), e comunque principalmente
in tutte le patologie in cui sia necessario controllare il dolore e la spasticità
muscolare. Ha infatti spiccate proprietà analgesiche e miorilassanti ma, a
differenza di altri principi attivi, non dà dipendenza e non crea assuefazione.
Inoltre, studi scientifici evidenziano una minor tossicità rispetto ad alcool, nicotina
o benzodiazepine.
Perché, allora, continuano a
venir prescritti farmaci infinitamente meno efficaci e infinitamente più costosi
e pericolosi? Perché tanti pregiudizi?
Facciamo un salto indietro.
Fino al 1937 la coltivazione e il commercio di qualsiasi tipo di cannabis, a scopo
‘ricreativo’ o terapeutico, era perfettamente legale in ogni parte del mondo.
Nel 1937 il Congresso degli Stati Uniti d'America emanò il “Marijuana Tax Act”,
firmato dal presidente Roosevelt, con cui si rendeva praticamente impossibile
la coltivazione di qualsiasi tipo di canapa a causa delle forti tassazioni che
andavano a colpire i piccoli produttori locali e i commercianti esteri. Nel 1951 il presidente Truman
firmò poi il “Boggs Act”, che rendeva illegale il possesso e il consumo di
marijuana; infine, nel 1961, l'ONU
classificò ufficialmente la cannabis come stupefacente, che fu da allora considerata
tale nella maggior parte dei Paesi.
Come mai un
così improvviso proibizionismo, dopo secoli e secoli di utilizzazione diffusa e
proficua? Se si ha voglia di andare a cercare le risposte si scopre che a
premere sul Congresso e sui presidenti americani di quegli anni fu tale William Randolph
Hearst, magnate dell’editoria nonché finanziatore di varie élites politiche. Hearst
era anche il maggior produttore di cellulosa degli USA, in competizione con i
produttori messicani che ricavavano la cellulosa (materiale di partenza per la
produzione di carta per l’editoria) proprio dalla canapa. Contro il Messico Hearst
montò un’enorme campagna propagandistica, accusando i lavoratori messicani di
sottrarre posti di lavoro agli americani e soffiando anche su biechi pregiudizi
razziali: e si ebbe il “Marijuana Tax Act”. Dopo il secondo conflitto mondiale la
propaganda fece facile leva anche sui preconcetti piccolo-borghesi che vedevano
nel consumo di marijuana un attentato al placido perbenismo dilagante: e si
ebbe il "Boggs Act". Insomma, quello che era uno dei più efficaci principi
farmacologici da sempre conosciuti fu dichiarato illegale a causa degli
interessi economici di una élite politica, e a causa della stupida ipocrisia di
un’intera generazione.
Oggi,
nella stragrande maggioranza dei Paesi la produzione e il commercio di
marijuana sono illegali, anche se sono quasi ovunque consentiti il possesso
e il consumo personale di piccole quantità. Fa eccezione la Giamaica, dove pare
la consumi più del 70% della popolazione; d’altra parte, una delle religioni
più diffuse in Giamaica è il rastafarianesimo, che predica l’uso della
marijuana come supporto alla meditazione, e che addirittura la identifica nell’Albero
della Vita presente nel giardino dell’Eden.
E fu Bob Marley a far conoscere al
mondo il rastafarianesimo, e a diffondere l’immagine dell’“erba” come apportatrice
di saggezza. “No, woman no cry…”
Se l'uso a scopo ‘ricreativo’
resta illegale in molte parti del mondo, l'uso terapeutico della cannabis è
ormai completamente o quasi completamente legale in molti paesi europei. E in Italia?
In Italia l’uso terapeutico è regolamentato da un decreto del novembre 2015, a
firma del ministro Lorenzin. Decreto sconosciuto ai più (medici in primis), che peraltro limita fortemente
le patologie interessate e, anche per quelle riconosciute, le possibilità di
prescrizione, insistendo invece su effetti indesiderati e necessarie “attività
di sorveglianza”. Tra le quali, per inciso, il ritiro della patente… Oltre al
fatto che l’applicazione di tale decreto spetta alle Regioni, per cui in alcune
la prescrizione è comunque possibile, in altre no.
Perché, perché?
Non avrei mai immaginato, a 55
anni suonati (cosa non successa a 15, a 20, a 35, insomma mai), di aver voglia
di farmi beatamente una canna.