Girovagando su Internet mi sono imbattuta in uno degli ultimi articoli
di quella piccola, geniale, poliedrica, meravigliosa donna che è Annamaria
Testa. Il suo sito, nuovoeutile, è una miniera quasi
inesauribile di spunti, suggerimenti, moniti, riflessioni per chiunque ami
comunicare, per pratica professionale o per pura passione.
Non ho resistito: da sempre gioco
con le parole, fin da bambina (“Linea della pagina” ne è un esempio...), per
divertimento o per necessità. Ricordo quando, giovanissima supplentina, mi
ritrovai ad affrontare una classe di piccoli delinquenti, all’estrema periferia
di Torino (“delinquenti” non è una affettuosa metafora: alcuni provenivano dal
carcere minorile, altri ci sarebbero finiti di lì a poco); impensabile
intrattenerli con Achille o con Enea, meno ancora con coniugazioni e complementi. Armata di quell’indimenticabile e folgorante capolavoro che è I Draghi locopei, uscito proprio quell’anno, iscrissi
allora tutta la classe a un concorso indetto da La Stampa e curato da
Giampaolo Dossena: si chiedeva di “giocare” con nomi e cognomi costruendo
anagrammi, acronimi, slogan. Non vincemmo, naturalmente, ma ci guadagnammo una
menzione speciale e una fornitura di libri, e tanto bastò per assicurarmi
credito sufficiente a sopravvivere fino alla fine dell’anno scolastico...
Non ho resistito dunque, e ho
giocato. Alle lettere di nome e cognome, D P, ho aggiunto quelle del secondo e terzo
nome di battesimo
(Maria Giuseppina), ed ecco
quel che mi è venuto fuori da D M G P:
Desidero Materializzare
Grandi Progetti (ma non ci riuscirò mai...)
Debello Malattie
Guarendo Pazienti (se fossi un medico...)
Do Meritate Giuste Punizioni (quando sono presa dal delirio di onnipotenza...)
Domino Mondi
Girando Pagine (il potere della lettura...)
Detesto Manzoni,
Giovenale, Petronio (ognuno ha le proprie inconfessate antipatie...)
e infine, appunto,
Donami, Musa,
Graziose Parole
(anche se Dolgono Mani, Ginocchia, Piedi, ché ogni tanto la mia artrite si
riacutizza...).
Un giochino che si può provare
ad estendere anche alle iniziali di amici/amiche e conoscenti, ricavandone quel
che ne pensiamo più o meno inconsciamente. Per esempio:
GD = Gestiva
Docenti
LG = Limpidamente
Generosa (ma anche Leccornie Garantite...)
SV = Sovrumana
Venustà
ES = Energie
Sorridenti
ecc. ecc.
Conosco poi qualcuno che,
nella sua infinita presunzione, trasformerebbe le proprie iniziali in un “Come Me, Dio!”
Un bel giochino insomma, ma
non solo.
Se si riesce a non razionalizzare troppo, se ci si abbandona alla
suggestione di quelle lettere e a ciò che esse in-mediatamente evocano in noi, si avrà uno spaccato di ciò che
siamo o crediamo di essere, un’immagine riflessa, uno sguardo sull’inconscio.
La libera associazione di parole, ovvero di concetti, a stimoli di per sé
privi di significato (lettere, figure, altre parole) è d’altra parte una delle
tecniche utilizzate in psicoanalisi per l’indagine della personalità: “test
proiettivi”, si chiamano. Uno dei più noti è il test di Rorschach: al soggetto viene
sottoposta una serie di tavole su cui sono riportate delle macchie d’inchiostro
simmetriche, monocromatiche o colorate, e gli viene chiesto di verbalizzare
tutto ciò che quelle immagini gli evocano sulla base delle somiglianze
individuate con altre realtà per forma, colore o posizione. Le macchie vengono
solitamente interpretate come figure umane, fiori, animali, angeli o mostri, ma
possono anche venir associate a concetti astratti: affiorano così paure
inespresse, fissazioni, fantasmi, pensieri inconsci, che il soggetto proietta
appunto su quella macchia di per sé assolutamente priva di senso.
Il giochino delle iniziali funziona
nello stesso modo: se ci si lascia andare, se si accetta di far emergere il
proprio io più profondo, si può entrare in contatto con parti di sé inesplorate
o represse, e tutto questo a partire da quattro insignificanti letterine.
A volte, però, quello su cui butti lo sguardo è un baratro, un abisso, e te
ne allontani subito terrorizzata. Hai visto quello che non volevi vedere.
Lì per lì, a me, quelle quattro
lettere suggerivano solo parole tristi e luttuose: malattia, morte, dolore,
pena. La prima frase sensata che mi è venuta in mente non l’ho neanche scritta,
e anzi me ne sono ritratta angosciata e inorridita.
“Nosce
te ipsum”, diceva qualcuno. Non è detto che sia né facile né piacevole.
P.S. Uff, ma perché non riesco mai a giocare e basta?
Nessun commento:
Posta un commento