In questi ultimi
mesi, da quando il ddl sulla “Buona Scuola” ha iniziato il suo percorso, la
campagna di denigrazione dei docenti non ha conosciuto soste, ivi compresa la
pagliacciata di un Renzi-maestrino con lavagna e gessetti. Nelle ultime
settimane, però, tale campagna si è fatta oltremodo massiccia e strisciante,
con l’impiego di strategie e di metodi che dovrebbero preoccupare tutti e che
confermano quanto, in Italia, libertà e democrazia siano solo ormai parole
vuote. Quando in uno Stato il controllo dell’informazione viene attuato
attraverso la manipolazione dell’informazione stessa e non, banalmente, attraverso
la censura, esso risulta particolarmente pericoloso proprio perché in apparenza
inesistente e dunque difficilmente smascherabile. Oggi tutto questo accade, sta
accadendo, per quanto riguarda la scuola, e ‘solo’ per far convertire in legge
una riforma iniqua e dissennata voluta e imposta da poteri forti neanche tanto
oscuri, ma domani potrebbe accadere per questioni ancora più importanti: la completa
cessione della sovranità nazionale, per esempio, non è lontana.
Quando, venti giorni fa, Alessandro
D’Avenia pubblicò nella sua rubrica su “La Stampa” la lettera di una studentessa che sparava a
zero sugli insegnanti (a suo dire incompetenti, fannulloni, burini), mi irritai
profondamente. Non con la studentessa, ovvio, ma appunto con D’Avenia, il quale,
essendo un collega, non mi sembrava proprio aver scelto il momento migliore per
dar voce ad accuse becere e rozze contro gli insegnanti esattamente nei giorni
dell’iter parlamentare della “Buona Scuola”. Peraltro, tutti i suoi articoli pubblicati nel mese di maggio hanno
toccato i punti più contestati della riforma abbracciando sempre e soltanto il
punto di vista e gli obiettivi di chi quella riforma l’ha ideata e concepita.
Basti, tra i tanti, uno stralcio:
“... non ci si può più permettere
di avere un sistema che, nonostante le molte eccezioni, permette a una cerchia
di insegnanti senza competenze educative, e talvolta ignoranti, di rimanere
intoccabili. Per questo, io sto con una riforma che finalmente potrebbe
permettere di premiare i capaci e sostituire i non adatti. [...] in un
mondo del lavoro che [...] si presenta estremamente competitivo [...] mi sembra
fuori dal mondo che la scuola viva in un isolamento dorato che permette a chi
non merita di insegnare. Ma chi dovrebbe giudicare il merito? Dato il ruolo del
preside credo che la sua sia la figura naturale a cui affidare l’incarico.”
Dunque, oltre allo
scontatissimo auspicio dell’avvento di dirigenti scolastici dai poteri
illimitati, se ne deduceva che gli insegnanti competenti, colti, attenti ai
bisogni educativi dei loro alunni sono “eccezioni”
(d’altra parte, la percentuale di docenti “capaci”
cui dovrebbe andare l’elemosina prevista dalla riforma come riconoscimento
economico è calcolata in meno del 5%, il che significa che tutti gli altri,
ovvero più del 95%, sarebbero 'incapaci'...). Se ne deduceva anche che la
scuola deve prioritariamente formare al “mondo
del lavoro”, adottandone i meccanismi; cultura e libertà, quelle, non
interessano evidentemente a nessuno.
Per questo è risultato nauseante il tono moralistico e autocelebrativo con cui D’Avenia, negli articoli, ha pontificato circa la necessità per i docenti di saper ispirare amore per i classici, educare prima che istruire, ‘erotizzare’ l’ora di lezione e via di questo passo, infarcendo il tutto con compiaciute citazioni che spaziano da Hölderlin a Huxley.
Mi ha fatto invece un’estrema tenerezza, diciamo così, il fatto che ogni articolo fosse sempre accompagnato da puntuali informazioni su chi sia Alessandro D’Avenia (e quanti anni ha, e in cosa è addottorato, e cosa ha scritto, e quali e quanti film sono stati tratti dai suoi romanzi, ecc. ecc.), informazioni che mi sanno tanto di finalità autopromozionali quanto di scarsa autostima: Umberto Eco, per dire, non ha certo bisogno di far seguire alcunché alla propria firma.
Per questo è risultato nauseante il tono moralistico e autocelebrativo con cui D’Avenia, negli articoli, ha pontificato circa la necessità per i docenti di saper ispirare amore per i classici, educare prima che istruire, ‘erotizzare’ l’ora di lezione e via di questo passo, infarcendo il tutto con compiaciute citazioni che spaziano da Hölderlin a Huxley.
Mi ha fatto invece un’estrema tenerezza, diciamo così, il fatto che ogni articolo fosse sempre accompagnato da puntuali informazioni su chi sia Alessandro D’Avenia (e quanti anni ha, e in cosa è addottorato, e cosa ha scritto, e quali e quanti film sono stati tratti dai suoi romanzi, ecc. ecc.), informazioni che mi sanno tanto di finalità autopromozionali quanto di scarsa autostima: Umberto Eco, per dire, non ha certo bisogno di far seguire alcunché alla propria firma.
Ma lasciamo Alessandro
D’Avenia a se stesso (poverino). Sempre nel mese di maggio, e anzi proprio nel
giorno che ha visto scioperare centinaia di migliaia di docenti contro la
riforma, mi aveva già lasciato perplessa l’intervista
a Paola Mastrocola nella quale l’esimia collega affermava di non aver capito “su che cosa scioperiamo”, pontificando
pure lei sulla “scarsa qualità degli
insegnanti”. Ora, conosco personalmente la Mastrocola; ne ho sempre
apprezzato l’indipendenza di pensiero, l’amore appassionato per la cultura, le
posizioni duramente critiche su riforme che hanno snaturato la dignità e le
finalità della scuola, e adesso? adesso viene a dire che “l’approccio dovrebbe essere meno ideologico e
più pragmatico” e che “dobbiamo dare il potere a qualcuno di decidere”? Che
le è successo, così, improvvisamente?
Insomma in entrambi i casi, D’avenia e Mastrocola, mi sono sentita tradita da due colleghi che, anche per la loro visibilità, avrebbero potuto e dovuto sostenere la causa degli insegnanti invece che contribuire ad affossarla. A dirla tutta, mi sono anche sentita un po’ cretina, visto che da anni propongo agli alunni i romanzi dell’uno e dell’altra.
Insomma in entrambi i casi, D’avenia e Mastrocola, mi sono sentita tradita da due colleghi che, anche per la loro visibilità, avrebbero potuto e dovuto sostenere la causa degli insegnanti invece che contribuire ad affossarla. A dirla tutta, mi sono anche sentita un po’ cretina, visto che da anni propongo agli alunni i romanzi dell’uno e dell’altra.
È poi di dieci giorni fa la lettera
di un’altra lettrice, questa volta inviata alla rubrica di Beppe Severgnini sul
“Corriere” e puntualmente pubblicata. Anche qui accuse becere, basate sul pregiudizio
e sulla disinformazione; anche qui, nei giorni precedenti e successivi, una
serie di mail simili e di relativi
commenti di Severgnini a base di faziosi giudizi sugli insegnanti, “quelli che giocano col telefonino in
cattedra”, con la richiesta di dare ai dirigenti scolastici “la facoltà di allontanare gli insegnanti
inadeguati, incompetenti e svogliati”. Anche qui la mia irritazione
profonda, profondissima: Beppe, tu quoque? Tu, che sei nato e cresciuto
all’ombra di Indro Montanelli, ovvero di un giornalismo indipendente, al limite
del suicidio editoriale e dell’eroismo personale? Tu, che sei un modello di
ironia e di scrittura, i cui manuali utilizzo da anni (doppiamente cretina...)
per tentare di insegnare a scrivere meglio? Tu, anche tu? Ma cosa vi hanno
promesso, a te, a D’Avenia, alla Mastrocola? Una poltrona da sottosegretario? L’accesso
al gotha di non si sa quale élite? Non esiste infatti altra spiegazione per
giustificare l’improvvisa perdita di lucidità, l’improvvisa adozione di
stereotipi e logori luoghi comuni, l’improvvisa genuflessione al potere. Per
citare proprio Indro Montanelli, “da
quali ometti è rappresentato questo povero giornalismo italiano!”
Ero convinta, in sostanza, che giornalisti e intellettuali (pseudo-intellettuali, molto pseudo...) fossero semplicemente diventati ‘servi del potere’, secondo una definizione un po’ trita ma, in ogni tempo, chiara ed efficace. Poi, poi, poi... qualcosa non mi tornava, qualcosa era troppo ovvio. Sono andata a rileggermi con attenzione le ‘lettere’ pubblicate e ho avuto un’illuminazione (come avevo fatto a non accorgermene prima?): quelle lettere sono false! non esiste nessuna ‘studentessa’, nessun ‘metalmeccanico’! Quelle lettere sono costruite e scritte ad arte, e poi fatte pubblicare sui giornali e negli spazi che più e meglio avrebbero garantito risonanza nazionale, fornendo una precisa immagine degli insegnanti e una precisa impressione di un’opinione pubblica compatta e schierata contro. Scriveva Prezzolini, nel 1923 (!): “Caro Gobetti, oggi tutto è accettato dalle folle: il documento falso, la leggenda grossolana, la superstizione primitiva vengono ricevute senza esame, a occhi chiusi, e proposte come rimedio materiale e spirituale”. Dopo trent’anni passati a leggere e correggere scritti di sedicenni e diciottenni posso assicurare che la lettera pubblicata da D’Avenia non è opera di una studentessa, non perché sia scritta male o bene, ma semplicemente perché il lessico, le espressioni, la struttura del testo non appartengono alla scrittura di uno studente. Nella lettera pubblicata da Severgnini, invece, a parte le inesattezze o le castronerie sulla posizione di metalmeccanici e insegnanti (combinazione, ho un marito metalmeccanico e sono un’insegnante...), quel che fa venire dubbi sono i precisi riferimenti all’Invalsi o ad altre strutture di valutazione, così come in altre lettere i riferimenti a Indire o Eurydice, o acronimi come CCNL, ovvero elementi che non fanno normalmente parte delle conoscenze e delle argomentazioni di un italiano medio. Stupisce, inoltre, il costante riferimento al “mondo del lavoro” o alla “buona scuola”. C’è di più: le lettere pubblicate nella rubrica di Severgnini sugli argomenti più svariati sono tutte corredate dell’indirizzo mail del mittente, ovvero in genere nome e cognome più l’estensione del provider (libero, gmail, ecc); bene, le lettere ‘dubbie’ non riportano nome e cognome, bensì strane successioni di lettere e numeri; sono andata a controllare: si tratta di avatar, cioè nomi-utenti che vengono di solito assegnati, per ragioni di privacy o di praticità, al personale di grandi aziende, o a studenti di grandi istituti, o a dipendenti di ministeri... motivo per cui mi sono ben guardata dal rispondere a interventi provocatori o decisamente offensivi, hai visto mai che venga schedata come sovversiva o anche solo non allineata...
Ero convinta, in sostanza, che giornalisti e intellettuali (pseudo-intellettuali, molto pseudo...) fossero semplicemente diventati ‘servi del potere’, secondo una definizione un po’ trita ma, in ogni tempo, chiara ed efficace. Poi, poi, poi... qualcosa non mi tornava, qualcosa era troppo ovvio. Sono andata a rileggermi con attenzione le ‘lettere’ pubblicate e ho avuto un’illuminazione (come avevo fatto a non accorgermene prima?): quelle lettere sono false! non esiste nessuna ‘studentessa’, nessun ‘metalmeccanico’! Quelle lettere sono costruite e scritte ad arte, e poi fatte pubblicare sui giornali e negli spazi che più e meglio avrebbero garantito risonanza nazionale, fornendo una precisa immagine degli insegnanti e una precisa impressione di un’opinione pubblica compatta e schierata contro. Scriveva Prezzolini, nel 1923 (!): “Caro Gobetti, oggi tutto è accettato dalle folle: il documento falso, la leggenda grossolana, la superstizione primitiva vengono ricevute senza esame, a occhi chiusi, e proposte come rimedio materiale e spirituale”. Dopo trent’anni passati a leggere e correggere scritti di sedicenni e diciottenni posso assicurare che la lettera pubblicata da D’Avenia non è opera di una studentessa, non perché sia scritta male o bene, ma semplicemente perché il lessico, le espressioni, la struttura del testo non appartengono alla scrittura di uno studente. Nella lettera pubblicata da Severgnini, invece, a parte le inesattezze o le castronerie sulla posizione di metalmeccanici e insegnanti (combinazione, ho un marito metalmeccanico e sono un’insegnante...), quel che fa venire dubbi sono i precisi riferimenti all’Invalsi o ad altre strutture di valutazione, così come in altre lettere i riferimenti a Indire o Eurydice, o acronimi come CCNL, ovvero elementi che non fanno normalmente parte delle conoscenze e delle argomentazioni di un italiano medio. Stupisce, inoltre, il costante riferimento al “mondo del lavoro” o alla “buona scuola”. C’è di più: le lettere pubblicate nella rubrica di Severgnini sugli argomenti più svariati sono tutte corredate dell’indirizzo mail del mittente, ovvero in genere nome e cognome più l’estensione del provider (libero, gmail, ecc); bene, le lettere ‘dubbie’ non riportano nome e cognome, bensì strane successioni di lettere e numeri; sono andata a controllare: si tratta di avatar, cioè nomi-utenti che vengono di solito assegnati, per ragioni di privacy o di praticità, al personale di grandi aziende, o a studenti di grandi istituti, o a dipendenti di ministeri... motivo per cui mi sono ben guardata dal rispondere a interventi provocatori o decisamente offensivi, hai visto mai che venga schedata come sovversiva o anche solo non allineata...
Resta dunque la seconda, molto più plausibile anche perché confermata da mesi e mesi di informazione propagandistica o al contrario reticente, capziosa quando non decisamente falsa; alcune espressioni presenti nelle lettere in questione, poi, trovano preciso riscontro nelle mail istituzionali inviate alle caselle di posta dei docenti da parte della segreteria del Ministero o dal Presidente del Consiglio in persona. Insomma ci è stata risparmiata (finora...) l’immagine di Renzi a torso nudo in un campo di grano, ma la finalità di costruire e manipolare l’opinione pubblica è la medesima, solo perseguita e realizzata con strategie più subdole e più scaltre.
In tutto questo, quale ruolo hanno giocato Severgnini e
D’Avenia? Quali istruzioni e pressioni hanno ricevuto per dare spazio nelle
loro rubriche a finte lettere di finti cittadini? Davvero hanno tradito così i
lettori e, in fondo, se stessi? A meno che... a meno che non si voglia supporre
che fossero e siano totalmente all’oscuro dell’operazione, e che abbiano pubblicato
le mail credendole vere. Nel primo caso saremmo di fronte a giornalisti collusi, nel secondo caso ingenui e sprovveduti. Non
so quale dei due panorami sia più desolante.
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