“Ogni stagione ha i suoi frutti”
è una frase che mio padre ripeteva sempre a me adolescente, quando,
insofferente di limiti e di divieti, scalpitavo per ottenere quella libertà che
invece mi veniva negata. La mia età allora ‘acerba’ non permetteva ancora,
secondo papà, che io potessi godere di quello che la vita poteva offrire. E
invece io volevo vivere, vivere, vivere! Quando sarebbe arrivata, quella
benedetta ‘maturità’?
Bene. Stamattina, ripercorrendo la biografia di Manzoni, mostro ai
ragazzi il ritratto che Hayez ne fece nel 1841. Didatticamente è sempre una
strategia vincente: l’astrattezza di parole e di concetti viene supportata
dalla concretezza delle immagini, e quello che sarebbe solo un nome o un autore
da studiare diventa un uomo vero, nella sua materialità fisica e storica.
Insomma sono lì, che parlo e straparlo. «Ecco, vedete, è un Manzoni
maturo quello che Hayez ritrae, perché il ritratto è del 1841 e Manzoni era
nato nell’85, dunque aveva già...» «56 anni», esplode il ragazzino nel primo
banco, precisando in una frazione di secondo quello che io stavo con non poche
difficoltà cercando di calcolare (le mie capacità matematiche sono notoriamente
inesistenti). «No, aspetta, 'solo' 56 anni?» «Eh sì, se era nato nell’85...»
Improvvisamente, come un fulmine, quell’aggettivo, ‘maturo’, che avevo usato solo un attimo prima, mi è apparso penosamente in tutta la sua amarezza. 56 anni. Come me.
Improvvisamente, come un fulmine, quell’aggettivo, ‘maturo’, che avevo usato solo un attimo prima, mi è apparso penosamente in tutta la sua amarezza. 56 anni. Come me.
C’era un’altra frase che papà
ripeteva spesso e ancora oggi ripete: “Quant’è bella giovinezza, che si fugge
tuttavia”...
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